Sciopero RAI o sciopero dell'informazione?
Sembra ben poco attinente questo argomento con quelli solitamente trattati in un blog "professionale". Tuttavia ieri, 11 giugno, è successo qualcosa di anomalo, almeno per chi si occupa di comunicazione in Italia.
Guardo pochi contenuti televisivi, la maggior parte è una selezionatissima scelta di programmi RAI che fruisco sul web. Ascolto molto più spesso la radio, e in particolare RAI Radio3 alla cui programmazione sono molto affezionato. Ci sono programmi, come Fahreneit che mi accompagnano da oltre 15 anni.
Per questo motivo, impegnato sul lavoro, non mi sarei mai accorto dello sciopero della RAI se non avessi acceso la radio come tutte le mattine e al posto dei miei programmi preferiti, avessi trovato una bobina che mandava musica classica e jazz. Dopo un primo momento di straniamento (ho pensato a problemi di ricezione), ho ricordato che ieri era l'11 giugno, la data annunciata alcuni giorni fa per lo sciopero dei dipendenti e giornalisti RAI. Avevo letto distrattamente che lo sciopero era stato revocato, ma non avevo badato alla sottile distinzione tra lo sciopero dei giornalisti (revocato) e lo sciopero dei dipendenti (tecnici, autori, etc..., confermato).
Ho provato quindi a cercare notizie sui principali siti di informazione italiani: repubblica.it, corriere.it, lastampa.it e non ho trovato una sola riga sullo sciopero RAI. 'Ma come?', penso 'Possibile che oggi e nei giorni precedenti, nessuna testata nazionale - immagino RAI esclusa - abbia citato un fatto che normalmente sconvolgerebbe le vite degli italiani tele-radio-dipendenti?'
'Possibile che testate giornalistiche che solitamente sono stracolme di articoli che in qualche modo riguardano contenuti televisivi o dichiarazioni di politici annunciate via TV o radio, ignorino in questo modo la stessa materia di cui vanno ghiotti?'
Sì, è possibile. Perché dello sciopero RAI ha parlato solo la RAI, più o meno. Solo oggi 12 giugno, ne riporta qualche giornale di partito. Si controbatterà che: certo, la RAI ha tutti gli strumenti per comunicare a livello nazionale le sue ragioni. Ma è possibile che uno sciopero di tale portata (sembra che l'adesione sia stata molto alta e intere programmazioni radio-televisive hanno subito modifiche dei palinsesti) non faccia notizia?
Non entro nel merito delle ragioni dello sciopero. So che la RAI è immensamente odiata dai contribuenti italiani non abituati a pagare per guardare la TV (vaglielo a spiegare ai tuoi connazionali che all'estero esiste il cavo per TV e internet fin dagli anni '70, ed è normale essere abbonati). Inoltre non ignoro che ci sono molti problemi all'interno della RAI, che c'è anche molta informazione piegata alle logiche istituzionali (quando non di potere), c'è anche molto trash (corrisposto però da alti indici di gradimento), e c'è probabilmente anche qualche altro problema che non riguarda i contenuti ma la gestione. Tutto questo è possibie sostenerlo con motivate ragioni. Eppure dall'altra parte esiste una grande professionalità, esiste la passione di chi vi lavora, esiste l'intrattenimento di qualità. Lo riscontro nella programmazione di Radio3, così come in alcuni canali televisivi dell'offerta digitale. Esiste un lavoro sulle rispettive piattaforme web che ha dell'eccezionale per le risorse che vi sono impegnate (per quanto ci sia ancora molto da lavorare).
Ieri, con un tweet, ho espresso la mia solidarietà a questa parte della RAI, perché sono convinto che non sia giusto lasciare questa voce isolata. La vicenda dei 150 milioni rispetto agli 80 € di bonus irpef passa, per me, in secondo piano. Nell'aut-aut del Governo: privatizzare Raiway o chiudere le testate regionali, io non vedo una lotta agli sprechi. Al momento la decisione sembra quella di vendere impianti e antenne di radiofrequenza o privatizzare parte della rete di diffusione del segnale.
Soprattutto molti temono tagli sul personale, o ripercussioni su quei programmi che hanno già un budget limitato, e che molto spesso sono gli stessi programmi che vengono realizzati con la fantasia e la creatività di autori, redazione, tecnici, professionisti e conduttori sopravvissuti all'invasione dei format delle multinazionali.
Sembrava fuori luogo parlare di queste cose sul mio blog, e invece ci sarebbe abbastanza materiale per approfondire molte tematiche inerenti il mondo della comunicazione in Italia:
- Il problema politico: il servizio pubblico radiotelevisivo è un diritto costituzionale
- Il problema storico: l'evoluzione della TV via etere che introduce di fatto il concetto di "TV gratis", causa il lungo periodo di oligopolio (l'etere è un bene molto limitato), stronca lo sviluppo di reti di comunicazione avanzate come la fibra ottica occupando larghe bande di frequenza.
- Il problema socio-culturale: il rapporto con il pubblico, i contenuti radio-televisivi.
- Il problema socio-economico: il rapporto dei media con il mercato, l'intrattenimento e l'informazione come merce di scambio
*L'immagine è tratta dal profilo facebook del programma "Alza il Volume" di Rai Radio3
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